Segreti per realizzare una colonna sonora

L’introduzione della colonna sonora nei film rappresentano uno dei più importanti punti di svolta nella storia del cinema. Essa permise un notevole aumento del realismo delle scene girate, ponendo fine all’effetto un po’ “spettrale” che le immagini mute avevano sul pubblico. Un film muto, infatti, era talmente sgradito da far ritenere indispensabile la presenza nelle sale cinematografiche di un pianista o di altri strumentisti che producessero un accompagnamento dal vivo.

Ai registi la colonna sonora permise, inoltre, di comunicare informazioni al pubblico attraverso un canale diverso, separato da quello dell’immagine, estremamente più sofisticato delle stringate didascalie che si leggevano mentre si guardavano i primi film.

Aspetti artisti del processo di produzione della colonna sonora

La colonna sonora, dunque, non è un elemento accessorio, ma ha pari dignità rispetto alle immagini nel determinare la riuscita di un film o di un video, e andrebbe realizzata con la stessa cura che si dedica alle inquadrature, alle luci e agli altri elementi delle riprese.

In questo articolo vi spieghiamo come è articolata una colonna sonora e quali sono i metodi e gli strumenti per realizzarla a regola d’arte.

Aspetti creativi del processo di produzione della colonna sonora

Dal punto di vista della trasmissione di informazioni, i suoni che fanno parte di una colonna sonora si possono dividere in tre diverse categorie. La prima, e più semplice, è quella dei suoni “in”, vale a dire quelli prodotti dagli eventi che vediamo rappresentati all’interno dell’inquadratura. Per esempio: se vediamo una persona sullo schermo parlare, ci aspettiamo di sentire il suono delle sue parole, sincronizzato con il movimento delle sue labbra.

Se vediamo un dito premere il grilletto di una pistola, ci aspettiamo ti sentire il boato dello sparo. E così via.

È ovvio che un suono “in” assente o fuori sincrono creerà immediatamente una sensazione di irrealtà, da evitarsi assolutamente, a meno che non sia un effetto desiderato (come quello usato dal critico Enrico Ghezzi, che appare in TV col sonoro non sincronizzato, risultando volutamente spiazzante).

musica colonna sonora

Altrettanto evidente che in gran parte dei casi l’attenzione dello spettatore sarà focalizzata sui suoni “in”, che comprendono, per esempio, i dialoghi.

Suoni in e off

Tuttavia i suoni “in” non rappresentano la totalità dell’audio. Altrettanto importanti sono i suoni “off ”, vale a dire quelli che, pur facendo parte dell’universo sonoro che vogliamo rappresentare, provengono da un punto esterno all’inquadratura.

L’esempio più banale: vediamo un personaggio che parla, e sentiamo un’altra voce rispondergli, ma non vediamo la persona cui la voce appartiene. Si trova forse in un’altra stanza, o nella stessa stanza, ma in un punto non visibile, o magari a rispondere è lo stesso operatore che regge la cinepresa. I suoni “off ” possono avere la stessa importanza di quelli “in” nel determinare il realismo di una scena.

Per esempio, se vediamo inquadrato un centravanti che scarta il portiere, tira in porta e fa gol, ci aspettiamo di sentire l’urlo della folla esultante, anche se il pubblico dello stadio non viene mai inquadrato. Se non lo sentiamo, abbiamo l’impressione che manchi qualcosa. Potremmo giungere alla conclusione che la partita si svolge a porte chiuse, in uno stadio vuoto. Ed ecco che qui emerge l’importante funzione dei suoni “off ”: quella di comunicare allo spettatore informazioni aggiuntive su quanto sta accadendo all’esterno dell’inquadratura. Un semplice suono può bastare a creare l’illusione di un intero mondo che si trovi appena al di là dei bordi dell’inquadratura. Sono moltissime le informazioni che si possono trasmettere in questo modo.

Basti immaginare quanto può risultare differente una stessa scena se proiettata con un allegro cinguettio di uccellini, oppure l’eco lontano di una mitragliatrice in sottofondo. È evidente che il pubblico la percepirà in modo completamente diverso a seconda del suono “off ” che inseriremo.Ovviamente esiste una dialettica tra suoni “in” e “off ”, con gli uni che possono trasformarsi negli altri con il procedere dell’azione o lo spostarsi dell’inquadratura.

Per esempio, se vediamo un personaggio uscire dall’inquadratura, ma continuiamo a sentire la sua voce, si sarà trasformata da “in” a “off ”. Queste trasformazioni possono essere utilizzate per spiazzare lo spettatore, creandogli delle aspettative che verranno poi frustrate, ottenendo un colpo di scena o un effetto comico. Per esempio: una scena del nostro filmato mostra un uomo in frac che si sbraccia mentre, fuori dall’inquadratura, un’orchestra suona la Quinta di Beethoven. Il suono “off ” ci aiuta a immaginare che l’uomo sia un direttore d’orchestra e che di fronte a lui siano seduti decine di strumentisti e centinaia di spettatori.

Quando la musica finisce e sentiamo il pubblico applaudire, la cinepresa si muove e inquadra una radio. Qualcuno preme un pulsante e il rumore del pubblico si interrompe: la musica in realtà proveniva da lì! Il suono “off ” è diventato “in”, creando un effetto sorpresa.

Suoni Over

C’è poi un’ultima categoria di suoni, detti “over”. Si tratta di suoni che non provengono dal mondo che rappresentiamo nel film, dentro e fuori dall’inquadratura, ma che vengono aggiunti e sovrapposti a essi, come una sorta di commento.

Un esempio classico sono le musiche da film, tanto indispensabili che spesso vengono definite “colonna sonora” tout court. Un altro esempio sono le voci sovrapposte alle immagini senza che in scena o fuori scena ci sia qualcuno a pronunciarle e che rappresentano i pensieri di uno dei personaggi oppure il commento di un vero e proprio narratore.

I suoni “over” sono tra i mezzi più potenti che il regista ha a disposizione per trasmettere informazioni allo spettatore. Basta qualche accordo musicale dissonante in sottofondo per aggiungere tensione e drammaticità a una scena altrimenti banale e bastano poche frasi sovrapposte a una scena per comunicare allo spettatore eventi complessi che avrebbero altrimenti richiesto molto tempo per essere rappresentate sullo schermo. Proprio per questo, tuttavia, si abusa dei suoni “over”: sono una scorciatoia “facile” cui un regista davvero abile ricorre solo quando necessario. Anche i suoni “over” si prestano a una dialettica con i suoni “in”, con risultanti ancora più spiazzanti e divertenti.

Un esempio per tutti: Woody Allen, che nel film “Il dittatore dello stato libero di Bananas” si abbandona a una fantasticheria, mentre il pubblico ascolta una musichetta d’arpa, classico suono “over” che nel cinema hollywoodiano di una volta veniva per convenzione usato per introdurre scene oniriche o immaginarie. Ma la scena non incomincia davvero: Woody si guarda intorno stupito, apre l’armadio, e ci trova dentro un suonatore d’arpa intento a esercitarsi! Il suono da “over” è diventato “in”, sorprendendo il pubblico e consentendo al regista di “strizzargli l’occhio” mettendo in ridicolo le convenzioni cinematografiche.

Immagini e ritmo

Una volta deciso quali saranno i suoni “in”, “off ” e “over” della nostra colonna sonora, il nostro lavoro non è certamente terminato.

Occorre innanzitutto decidere quali saranno i volumi relativi tra le varie componenti e come varieranno.

Il mixaggio del suono

è un po’ l’equivalente dell’illuminazione di una scena: permette di manipolare l’attenzione dello spettatore.

Se i suoni “off ” sono a volume molto basso, questi si concentrerà su ciò che accade all’interno dell’inquadratura; viceversa, dei suoni “off ” ad alto volume faranno sì che lo spettatore si aspetti che qualche elemento esterno sia sul punto di entrare a far parte dell’azione.

Se poi il volume varia nel corso della scena, si può stare certi che si riuscirà a spostare la sua attenzione verso l’elemento desiderato.

Un altro elemento espressivo a nostra disposizione è il modo in cui la colonna sonora segue l’andamento dell’azione.

La possibilità più ovvia è che ci sia una corrispondenza puntuale: quando l’azione si fa più intensa, anche la colonna sonora si fa concitata e fragorosa; nei momenti più tranquilli, invece, la colonna sonora si adegua facendosi discreta e poco appariscente.

Può essere un metodo efficace, ma non è certamente l’unico.

Meno banali sono gli esempi in cui la colonna sonora si mette in contrapposizione con le immagini, creando dei contrasti (rumori forti e ritmo concitato durante una scena tranquilla, suoni calmi e ovattati durante una scena d’azione) che esasperano le atmosfere che il regista cerca di ottenere.

Oppure ancora la colonna sonora assume un ritmo indipendente, anticipando le atmosfere della scena che segue, oppure prolungando quelle della scena già trascorsa, aiutando così ad amalgamare tra loro gli elementi del film.

Un caso estremo di questa tecnica è il cosiddetto montaggio Split, in cui l’audio di una scena comincia in anticipo o finisce in ritardo, creando così dei momenti in cui il sonoro si sovrappone a una scena non propria.

Un possibile esempio è la scena del funerale nel film “La stanza del figlio” di Nanni Moretti, in cui il rumore dei chiodi piantati nella bara si prolunga ben oltre il termine della scena, dando così l’impressione della tensione di un evento il cui peso grava su tutta la vita del protagonista, e non dura lo spazio di un singolo istante.

Audio di una scena

Quando l’audio di una scena inizia in anticipo si parla di J-split, mentre quando finisce in ritardo si parla di L-split (i nomi derivano dal fatto che nei programmi di montaggio video, l’audio viene rappresentato come una striscia che corre al di sotto della fascia principale contenente le immagini; una scena con audio debordante viene così ad assumere la forma di una lettera “J” o “L”).

L’effetto più difficile da ottenere, ma anche quello più espressivo, si ha quando la colonna sonora è completamente slegata dal contenuto della scena mostrata, ed è la giustapposizione di audio e video a generare contenuti interessanti.

È il caso di “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, in cui il movimento delle astronavi nel gelido silenzio dello spazio viene trasformato in un balletto dalla musica del valzer “Il bel Danubio blu” di Strauss, una scena giustamente celebre.

Nei prossimi articoli troverete i consigli tecnici per mettere in pratica alcune delle idee che vi abbiamo appena descritto.

Non abbiamo esaurito certamente l’argomento della creazione di una colonna sonora, che riempirebbe agevolmente dei volumi. Speriamo però di avervi suggerito qualche spunto iniziale per rendere i vostri filmati più interessanti anche dal punto di vista audio.

Avremo occasione nel corso dell’anno di entrare nei dettagli con tanti esempi pratici perché, è proprio vero… anche l’orecchio vuole la sua parte!